Avevo tre
anni quando tutta la primavera del 1943
dovetti trascorrerla tra la casa natale e il
rifugio antiaereo più vicino. Dove si poteva solo sperare e pregare che
il sibilo degli spezzoni incendiari e delle “dirompenti” si spegnesse il più
lontano possibile. E fu perciò inevitabile che, con l’unica certezza di quel
traumatico passato, la mia idea di futuro nascesse con “connotati” sicuramente
più incerti che per gli altri ragazzini che della guerra non sentirono gli
scoppi e i lamenti dei feriti.
Né a farmi
intensamente sperare in un futuro migliore contribuirono un paio di esperienze entrambe riconducibili
a delle fotografie e fatte negli anni delle elementari. Prima di tutto quel vecchietto dal volto di
teschio che nei pressi della scuola, per cinque lire, faceva guardare
ingrandite, con una specie di binocolo di sua produzione, le
cartoline di viraggio seppia che testimoniavano delle infamie coloniali
italiane. Atroci documenti di un passato tuttavia da non rimuovere.
Poi accade che in
un cassetto dimenticato aperto trovai l’immagine di un volto rigato di sangue.
Non vi riconobbi quello del mio zio più giovane che il 19 ottobre del 1944 passò per caso dalle parti della
Prefettura, in via Maqueda. Dove i ragazzi che chiedevano pane ebbero in cambio
il piombo dei ‘91 e le schegge di granata dei militari della “Sabaudia”. Ancora
il passato che tornava con la sua lezione riassunta in una foto.
La prima
Voigtlander a soffietto poi la cambiai con la mitica Rollei di papà quando, a
Cortile Cascino, mi recai con i compagni del liceo per salutare e riprendervi
Danilo Dolci. Sereno a ragionare con Goffredo Fofi e con Mario Farinella,
disteso senza mai toccare cibo, sul
letto d’un palermitano ucciso dagli stenti a due passi dalla Cattedrale.
Furono le prime immagini di un omaggio che
prima in bianco e nero e poi a colori non so ancora smettere di rendere.
Specialmente agli ultimi della terra del Mandamento che è forse il più
disastrato degli storici quattro. Alle occhiaie vuote dei palazzi di via
Cassàri. A chi ancora s’affaccia dal balcone del vicolo della Rosa Bianca, dal
quale la madre di un caro amico si lanciò nel vuoto con un neonato in braccio.
A tutti gli Alì senza permesso di soggiorno e non ancora dagli occhi azzurri
che adesso affollano via Terra delle Mosche e s’accampano sotto gli archi del
Cortile della Morte al Garraffello. Ai giovani e ai vecchi che firmano la loro
presenza alla Vucciria con l’ultima bottiglia vuota lasciata in linea con le altre sulla soglia della più
nota taverna del mercato che muore.
Lucio Forte